mercoledì 30 maggio 2007

Berlino

Quando dico di amare moltissimo Berlino, la maggior parte delle persone storce il naso: ma come? Una città tedesca? Chissà come sarà fredda, rigorosa, noiosa, ordinata e pulita in modo maniacale…
Meglio dimenticare gli stereotipi inculcati da 50 anni di film sulla seconda guerra mondiale pieni di sadici gerarchi nazisti: Berlino è unica e non ha nulla a che vedere con quello che siamo abituati a pensare della Germania.
Prima dell’unificazione, Berlino era considerata dai tedeschi stessi come un mondo a parte. Soprattutto chi viveva nella parte Ovest godeva di un trattamento particolare, per esempio il servizio militare non obbligatorio o incentivi sull'acquisto della casa. Ne è conseguito un trasferimento massiccio di perditempo, artistoidi, anarchici, alternativi e varia umanità che hanno dato vita alla Berliner Luft: l’atmosfera libera e creativa che si respira ancora in città.

Kaiser Wilhelm Gedächtnis Kirche

Meglio dimenticare anche le rigide strutture tipiche della maggior parte delle città europee: una piazza più o meno monumentale che ne è il cuore, la cattedrale circondata dal centro storico, vari monumenti antichi distribuiti tutto intorno.
A Berlino non troverete nulla di tutto questo.
Sopratutto non esiste un centro. Stanno cercando di crearne uno nuovo di zecca nella scomparsa Potsdamer Platz, la piazza distrutta dalla costruzione del muro. Si tratta però di un luogo fantasmagorico e bizzarro, che ben rappresenta la Berlino di oggi. È un’area fluttuante, composta da più nuclei su una superficie molto estesa (e non hanno ancora finito…). Chi la percorre è invitato a continui cambi di prospettiva e impressioni: spazi chiusi, aperti, verdi, acquatici, circolari, verticali, trasparenti, pieni, colorati. Una vertigine per i sensi.

Girando per le strade si avverte spesso una sensazione di precarietà e distanza.
Unica certezza: chi torna a Berlino non la troverà mai uguale alla volta precedente.

Potsdamer Platz

giovedì 10 maggio 2007

Gita al faro

Un po' a corto di spunti escursionistici, Elena ed io proseguiamo l'esplorazione del monte di Portofino.

Nonostante la rara antipatia della proprietaria dell'unico panificio e la pessima focaccia che ci propina, il pranzo vicino al faro è paradisiaco.

Molti gitanti che arrivano in battello a Portofino si limitano a scrutare, morbosi, i grandi yacht parcheggiati nel porticciolo. Al massimo risalgono fino alla chiesa di San Giorgio.
Ma alla vista del cartello che indica "Faro" vengono colti da inaudita pigrizia . E non sanno cosa si perdono!
Basta una mezz'oretta di cammino per raggiungere il capo del faro. Si avanza su e giù lungo una creuza tortuosa, sfiorando le mura di magnifiche ville invisibili, e infine si arriva in vista di una torre bianca ritagliata sullo sfondo blu scuro del mare. In questo tratto brevissimo la roccia è scoscesa da entrambi i lati e pare di volare fra i tronchi dei pini marittimi. Le radici dei grandi alberi si aprono come le reti dei pescatori e reggono tutta la montagna.

Dal faro del monte di Portofino

martedì 8 maggio 2007

giovedì 3 maggio 2007

Sant Jordi a Barcellona

Racconto con un po’ di ritardo la mia esperienza barcellonese.

Ho passato la settimana intorno il 23 aprile a Barcellona, ospite a casa dei miei amici Giulia e Paolo (per tacer dell’imminente Clelia). Ho scelto questa data perché in questo giorno si festeggia Sant Jordi, il patrono della Catalunya, e volevo vedere la città in un momento particolare.

Sono partita piena di curiosità, perché in genere tutti parlano con entusiasmo di Barcellona, ma temo che i motivi che spingono molti ad apprezzarla siano proprio gli stessi che mi hanno lasciato perplessa, primo fra tutti la “sensazione di sentirsi come a casa”. Non che mi piaccia sentirmi a disagio fra popoli ostili e usanze incomprensibili, ma per “sentirmi come a casa” in genere me ne sto a casa.
Appena arrivata in Placa de Catalunya sono stata travolta da una fiumana di gente, la maggior parte della quale parlava italiano nei più svariati dialetti e accenti. Era come stare in una mini-italia, con le persone al posto delle riproduzioni della torre di Pisa e di San Pietro. E va bene, viaggiando a ridosso del 25 aprile forse me lo sarei dovuto aspettare, ma tutto sommato credevo di andare in Spagna!
Insomma, il primo impatto non è stato del tutto positivo.
Altro errore: ho percorso itinerari troppo “da turista”, col risultato che tutto quello che ho visto era invaso da centinaia di stranieri con cartina e macchina fotografica, e questo non mi ha certo aiutato ad entrare nell’anima della città.
Uhm… magari ci torno in un periodo più tranquillo e scegliendo percorsi alternativi…

La festa di Sant Jordi è stato un momento un po’ diverso. Prima di tutto aprono dei monumenti normalmente chiusi negli altri giorni, oppure ci sono aperture gratuite di musei di solito a pagamento. La mia amica ed io siamo andate un paio di giorni prima a chiedere l’elenco delle iniziative alle Informazioni turistiche dietro l’Ayuntamiento.

Cortile gotico del Palau de la Generalitat di Barcelona

Così la mattina del 23 ci siamo messe in coda per visitare il Palau de la Generalitat, in Placa San Jaume. E’ valsa la pena aspettare più di mezz’ora per entrare, perché il palazzo è davvero bello. Molto meno interessante, invece, il Palau de l’Ayuntamiento.

Nello stesso giorno, i banchetti che di solito occupano la Rambla sono sostituiti da bancarelle di fiori e libri. Infatti, secondo la tradizione gli uomini regalano una rosa all’amata e le donne un libro all’amato. Già dal mattino si vedono in giro moltissime donne con una rosa rossa in mano, facendo intuire che gli uomini barcellonesi siano molto attenti alle loro partner (oppure molto attenti alle tradizioni).

Sant Jordi ardent

Comunque, fra tutte le cose che ho visto, quella che più mi ha impressionato non è stata la Sagrada Famiglia, la Boqueria, il Park Guell, il Barrio Gotico, il Palau della Musica e gli altri spettacolari monumenti che si trovano sparsi per la città, bensì veder costruire un castell.
E’ stato quasi un caso: Giulia ed io tornavamo a casa la sera e abbiamo notato un cartello che annunciava un incontro di castellers il giorno dopo nella Rambla del Poble Nou. Siamo andate a vedere e sono rimasta sbalordita.
Il castell è la piramide umana tradizionale della Catalunya, formata dalla sovrapposizione di diverse persone (i castellers) in piedi ognuna sulle spalle dell’altra. La bravura, ovviamente, sta nel dar vita a una piramide più alta possibile.
I castellers cominciano a spingersi l’uno verso l’altro per creare una base solida e compatta. Su questa base salgono 2, 3 o più persone che formano il primo piano. Appena si sono sistemati e stretti saldamente fra loro, sulle loro spalle sale uno stesso numero di persone e così via per diversi piani. Mentre vengono “scalati”, i castellers stringono coi denti i baveri delle camice per non farsele strappare.
In cima a tutti sale un bambino: appena raggiunge la cima saluta con un bacio la folla e poi ridiscende velocemente scivolando lungo i corpi di chi lo ha sostenuto.

Quando ho descritto questo spettacolo a Paolo come “potente”, ha riso per due ore. Ma lui non l’ha visto e non può rendersi conto dell’energia e dell’adrenalina che si vengono a creare! E’ davvero un’emozione intensa e coinvolgente, perché la torre di persone è viva e freme tutta, senti la fatica di chi sta in basso e la difficoltà di chi sale in alto. Partecipano tutti, uomini, donne e bambini, incitandosi a vicenda.



E’ la rappresentazione perfetta dello spirito di aggregazione e di appartenenza della comunità catalana, che non perde occasione per far notare la propria unicità e la propria distanza dal resto della Spagna. Ed è proprio questa coesione e collaborazione che ne determina la forza. Semplicemente emblematico.

Maggio - Mese del Remise en forme

Maggio, mese della fioritura e della rinascita, capita a proposito in questa fase di transizione della mia esistenza. Infatti ho deciso di utilizzare questo mese per scrollarmi di dosso anni di inerzia fisica e mentale e rimettermi in forma sotto tutti gli aspetti. Sono arrivata a questa primavera con la testa inaridita e le articolazioni anchilosate. Faccio fatica a muovermi e pensare. Sarà anche l’inesorabile avanzare dell’età, ma se non vi pongo un freno urgente adesso fra 10 anni mi ritroverò a fare la suocera in qualche reality show.
Devo quindi studiare un preciso e ferreo programma di rimise en forme, che preveda il risveglio delle membra e del cervello.

Mi accompagnerà nel progetto la mia amica Elena, che si sta allenando a percorrere il Camino di Santiago de Compostela e a scrivere un romanzo. Non potevo trovare complice migliore.

Abbiamo cominciato la settimana scorsa, con la classica gita sul monte di Portofino da San Rocco di Camogli a San Fruttuoso.
Da San Rocco si possono scegliere due sentieri: uno facile di 2 ore, l’altro di 2 ore e mezza, per esperti, che va su e giù in continuazione per un sentierino strettissimo a picco sul mare, dove ogni tanto sono state messe delle catene per reggersi e non rischiare di precipitare giù dalla scogliera. Ovviamente abbiamo fatto il secondo.
Partite convinte di fare andata e ritorno via terra, arrivate a San Fruttuoso abbiamo optato per il rientro in battello… (per chi non lo sapesse, San Fruttuoso è raggiungibile solo tramite sentieri o via mare). Almeno non ci siamo fatte portare fino a Camogli, ma siamo scese allo scalo precedente, cioè a Punta Chiappa (il nome deriva dal genovese “ciappa” = scoglio piatto, non dai posteriori dei bagnanti che la frequentano) e siamo risalite a piedi fino a San Rocco.
Questo tratto da solo vale come 6 ore di step in palestra.