sabato 26 aprile 2008

Paris vs London

Fra qualche giorno andrò a Londra a trovare la mia carissima amica Francesca. Così ho deciso di prendere una guida turistica sulla capitale britannica.
Ho scelto una guida Routard, perchè ho già utilizzato la versione italiana per altri viaggi e mi sono sempre trovata molto bene.

Al contrario, la versione francese (quindi originale, dal momento che è qui che nascono le Routard) della guida di Londra mi ha un po’ deluso.
Mi ha irritato soprattutto il fatto che, in linea con le abitudini galliche, appena possibile i luoghi e i monumenti londinesi vengono rapportati alla cosa più simile parigina.
Ma i francesi hanno davvero bisogno di un confronto con i luoghi nazionali per comprendere come sono fatti quelli stranieri?
Pare di si:
Soho: un peu l’équivalent de Pigalle à Paris.
Covent Garden fait vraiment penser aux Halles
(qui, almeno, hanno la decenza di ammettere che Covent Garden è nettamente migliore di Les Halles).
La Royal Academy of Arts possède une école d’art renommée, qui fut créée sur le modèle de l’école française des Beaux-Arts.

Non mancano qua e là osservazioni e allusioni ironiche, che rivelano fra le righe un certo complesso di inferiorità e non poca avversione dei francesi verso gli inglesi. E' evidente, soprattutto, il senso di rivalsa che la capitale francese prova nei confronti di quella inglese.

La chicca è l'introduzione storica al Victorian and Albert Museum:

En 1851, l'Exposition universelle organisée à Hyde Park mettait en concurrence les technologies et le savoir-faire des pays du monde entier. Les Anglais purent constater amérement que l'esthétique des produits manifacturés britannique avait fait les frais de la production industrielle, alors que dans ce domanie les Francais s'en tiraient bien mieux.

Nel 1851, l'Esposizione universale organizzata a Hyde Park mise in concorrenza le tecnologie e le competenze dei paesi del mondo intero. Gli inglesi poterono constatare amaramente che l'estetica dei prodotti manifatturieri britannici aveva fatto le spese della produzione industriale, mentre i francesi in questo campo se la cavavano molto meglio.


E fu per questo che il principe Albert decise di costruire un museo dedicato alle Arti decorative…


Il mese scorso The Economist ha pubblicato un articolo “London and Paris - The rivals”, che mette a confronto le due capitali: http://www.economist.com/world/europe/displaystory.cfm?story_id=10849106
I dati evidenziano la staticità economica e urbanistica della Ville Lumiére, contro il dinamismo di Londra. A Londra vivono circa 200.000 francesi, contro i 22.000 inglesi di Parigi. La divisione in 20 arrondissements di Parigi risale al 1860 e mantiene la superficie della città anacronisticamente minuscola. Al contrario, nel 1965 il comune di Londra si è esteso alla Great London, un agglomerato urbano circa 10 volte la superficie del comune di Parigi.
Mi stupisce persino che i londinesi si possano sentire in competizione con Parigi!
Un pezzo dell’articolo ricorda, infatti, che “officials at London's City Hall bristle at the idea that the two cities can be compared. 'We don't think of ourselves as in competition with Paris,' sniffs John Ross, Mr Livingstone's economic adviser. 'We've won that contest. We measure ourselves against New York.'

venerdì 25 aprile 2008

Pic-nic al Pont des Arts

C'è un ponte sulla Senna che collega l’austero Istitut de France all’ingresso sud della Cour Carrée, cuore del Louvre. È il Pont des Arts – Ponte delle Arti – un ponte pedonale in legno, da cui si può ammirare una delle vedute più caratteristiche di Parigi: da un lato la punta orientale dell’Ile de la Citè, con i suoi languidi salici protesi verso il fiume, e le guglie di Notre Dame, dall’altro lato i grandi palazzi scintillanti del lungosenna e la Tour Eiffel.
La summa del pariginismo e il non plus ultra del romantico.

Qui è tradizione riunirsi con gli amici per fare dei pic-nic. I gruppi più numerosi seduti in cerchio, le coppiette appoggiate al parapetto, tutti provvisti di gran quantità di bottiglie di vino. Si osserva l’acqua scorrere attraverso le fessure del legno, si salutano i turisti che si sbracciano dai battelli di passaggio, qualcuno porta la chitarra e si canta.
Il momento migliore è all’arrivo della sera, quando i colori diventano morbidi e le luci suggestive.

Tanti turisti passano e fotografano i festanti mangiatori, come antropologi che osservano una tribù di pigmei. Chissà perché, non sono tanti quelli che decidono di fermarsi e di imitare gli abitanti. Scandaloso! Se si viene a Parigi nella bella stagione, il pic-nic sul Pont des Arts è d'obbligo!

martedì 15 aprile 2008

il Liga a Parigi

Il Liga a Paris!

Mentre il nostro amato stivale fremeva (?) in attesa degli exit poll delle ultime ennesime elezioni, io assistevo ad uno spettacolo al quale mai avrei immaginato di assistere qui a Parigi: il concerto di Luciano Ligabue!

Premetto che non sono mai andata ad ascoltarlo in Italia, perché mi piace, si, ma con moderazione. Ma, come al solito, ci sono capitata guidata dal caso: Simona è venuta a Parigi in coincidenza con la data del tour europeo, quindi ha pensato di prendere i biglietti e portarmi con lei.
Così mi sono ritrovata, un po’ scettica, a saltare e cantare in mezzo a 2000 individui scatenati, per la maggior parte connazionali, alcuni arrivati apposta dal Bel Paese.
Mi sono divertita da morire!
L’aspetto migliore dello spettacolo era trovarsi dentro una piccola sala, La Cigale, un antico teatro di Pigalle, e poter vedere il palco così da vicino. In Italia il caro Luciano riempie gli stadi ed è impossibile avvicinarsi tanto alla sua faccia. Qua era come averlo in cucina che si prepara un caffè.

il Liga a Parigi!

venerdì 21 marzo 2008

Grandinate di Marzo

Ieri era il primo giorno di Primavera, e per cominciare bene oggi è venuta giù una grandinata a mitragliatrice. E poi è tornato il sole.
Pare che le grandinate di Marzo siano una caratteristica del tempo parigino, una caratteristica che nemmeno l'effetto serra e il buco nell'ozono sono ancora riusciti a modificare.

Ieri era anche Capodanno! Infatti, cosa significa festeggiare l’inizio dell’anno in un giorno insignificante come il primo Gennaio? Il vero principio dell’anno è il primo giorno di Primavera, il momento della rinascita della natura, del risveglio dei sensi, del ritorno alla luce dopo i grigi mesi invernali.
È quello che pensano, per esempio, i curdi e altri popoli iranici.

Ieri sera, grazie a vie traverse, ho partecipato alla festa di Capodanno - Newroz - organizzata dal Centro Culturale Curdo di Parigi. È stato molto interessante, oltre che divertente. Hanno allestito un ricco buffet in una grande sala offerta dalla Regione Ile-de-France. C’era una piccola orchestra che suonava le musiche tradizionali e tutti quanti ballavano stretti in cerchio, tipo mammutones sardi.
Ho conosciuto un musicista del Kurdistan iracheno, che ha studiato al conservatorio di Venezia e che mi ha raccontato un po’ il suo punto di vista sull’attuale situazione in Iraq. I curdi, a differenza degli sciti e dei sunniti, che si stanno scannando nel caos più assoluto, hanno ricevuto solo vantaggi dalla cacciata di Saddam e si augurano che gli americani restino ancora a lungo sul territorio. Sono riusciti a costruire una Provincia autonoma piuttosto stabile e si gestiscono senza disordini.
L’università della capitale accoglie anche molti insegnanti stranieri.
Come mi sono sentita ignorante quando mi ha detto che l’attuale Presidente iracheno è curdo!
Basta, devo tornare a interessarmi di cosa succede nel mondo…

Newroz a Paris - Foto di MV

domenica 16 marzo 2008

Piccoli giardini nel centro di Parigi

Il WC di casa mia riserva sempre delle piacevoli sorprese (per chi non lo sapesse, nelle case francesi la coppa del cesso è separata da resto del bagno ed è confinata tutta sola in uno sgabuzzino). Questo grazie alla mia padrona di casa, che l’alimenta costantemente di nuovi libri e riviste. Purtroppo, non si cura mai di ordinare o eliminare i volumi precedenti, dando origine ad un caos intriso di polvere appiccicosa.
È così che, per esempio, ho letto il mio primo Tin-tin in francese. Ed è così che ho scoperto “Où trouver la calme à Paris” (Dove trovare la calma a Parigi). Il libro fa parte della nutrita collezione Paris à nous, edita da Parigramme, tutta dedicata a come vivere Parigi al meglio. Da come trovare un appartamento, a dove mangiare e comprare africano, fino ai consigli per chi possiede un gatto.
Questo “Dove trovare la calma a Parigi” deve essere uno dei primi titoli, perché l’edizione del mio WC risale a 10 anni fa. Quindi è poco attendibile.
Ma la lista dei parchi più tranquilli e nascosti della città può essere ancora utile.
La uso come spunto per rivisitare - o visitare per la prima volta - una serie di piccoli giardini, tutti vicino al centro e adatti ad una sosta rigeneratrice.


Il Marais
Per quanto il Marais sia uno dei quartieri più conosciuti e più descritti nelle guide, rimane sempre una miniera di angolini nascosti e di “forse non tutti sanno che”. È sorprendente soprattutto la quantità di piccoli spazi verdi, che spuntano improvvisi fra le case antiche.

Si può cominciare dall’Hotel de Sens, a sud di Saint Paul. L’Hotel de Sens è un hotel particulier (un “hotel particulier” non è un albergo, ma una antica residenza privata) trasformato in biblioteca pubblica. Dalla parte opposta all’ingresso della biblioteca è stato ricostruito un grazioso giardino alla francese, ovvero un giardino dove la natura è iper-controllata e misurata. L’elemento caratteristico sono le siepi basse disposte a formare disegni geometrici o sinuosi.

Giardino dell'Hotel de Sens


Dall’Hotel de Sens si risale verso il Marais vero e proprio. Dalla caotica Rue Saint Antoine, piena di gente e negozi, si accede ad una piccola oasi di pace: l’Hotel de Sully, un hotel particulier riconvertito a spazio espositivo. Superato il maestoso portone, si scopre un delizioso giardino dove svolazzano gli uccellini. Una porta nell’angolo in alto a sinistra immette direttamente nella celebre Place de Vosges.

A due passi da Place de Vosges c’è il Musée Carnavalet, il Museo della Storia della Città. Oltre ad essere un luogo divertente pieno di oggetti curiosi (e in più l’ingresso è gratuito), all’interno è custodito un pregevole giardino alla francese. Molti turisti lo scorgono attraverso i cancelli dorati in Rue Francs Bourgeois e non sanno che se girassero l’angolo ci potrebbero entrare!

Giardino del Musée Carnavalet



Square Georges CainAlle spalle del Musée Carnavalet si aprono altri due minuscoli parchi, divisi da una fila di bassi edifici. Il più tranquillo è lo Square Georges Cain, mentre il giardino adiacente, in Square L. Achille, ospita dei giochi per bambini e quindi è molto più rumoroso.
Di fronte allo Square Georges Cain, l’ennesimo Hotel Particulier accoglie l’Istituto di Cultura Svedese. L’istituto è dotato di un caffè in stile ikea, con tavolini sparsi nel bel cortile. Da notare i panini confezionati ad arte e pieni di ogni bendiddio.



Fra Saint Germain de Prè e la Tour Eiffel (6°e 7° arrondissement)
La zona intorno Saint Germain de Prés è davvero povera di luoghi piacevoli dove rilassare un po’ le gambe. Per trovare ristoro bisogna scarpinare fino al magnifico Jardin de Luxembourg, che ad ogni modo ripaga del tutto della camminata. In alternativa, vale la pena di spostarsi verso Nord e raggiungere il Lungosenna. Dalla chiesa di Saint Germain, si raggiunge il fiume attraverso Rue Bonaparte. Qui, il viaggiatore supera distratto i bei palazzoni dell’Ecole des Beaux Arts, mentre varrebbe la pena di entrare a curiosare.
L’Ecole è un misto di edifici di stili diversi, di pezzi di antichi monumenti recuperati e gettati fra le erbacce, di installazioni degli studenti in mezzo ai cortili. Il risultato complessivo è una pittoresca disarmonia, altrimenti detta “pugno in un occhio”. Però è divertente scoprire un patio dove è stata appesa l’intera riproduzione del fregio del Partenone, oppure un piccolo giardino un po’ incolto, o ancora gli atelier dove lavorano gli studenti, o la sontuosa Cour Vitré, un ampio cortile ottocentesco (ora in restauro) coperto da un tetto di vetro.

Cour du Murier - Ecole des Beaux Arts


In alternativa, sempre dalla chiesa di Saint Germain, si può scendere in Rue de Rennes e poi girare a destra in Rue de Sèvres. Qui si entra nel 7° arrondissement. Poco prima della fermata della metropolitana Sèvres-Babylone, si passa accanto ad una stradina pedonale, Rue Récamier, che finisce in un minuscolo parco pubblico. Il giardinetto è un luogo inaspettato e silenzioso. È interamente circondato da palazzi e quindi d’inverno non ci batte spesso il sole. Questo lo rende il secondo posto più umido di Parigi, dopo la Senna.

Jardin Récamier


Proseguendo lungo Rue de Babylone, ci si imbatte in un parco grande e arioso, molto diverso dal precedente: il Jardin Catherine Labouré. Il luogo era l’orto di un convento di suore e mantiene ancora il suo impianto campagnolo e i suoi alti muri, le aiuole squadrate, gli alberi da frutto e un pergolato coperto di vite. Il nome è dedicato ad una giovane religiosa che visse nel convento e a cui apparve la Madonna.

Jardin Catherine Labouré


Verso la fine di Rue de Babylone si incontra un edificio talmente curioso che vale la pena di citarlo, anche se non si tratta di verde pubblico. È la Pagode, un cinema ricavato all’interno di una pagoda in stile giapponese, costruita nell'800 da un imprenditore francese.

La Pagode


Ad ogni modo, il giardino più bello del 7° arrondissement - e uno dei più belli di Parigi - è senz’altro il giardino del Musée Rodin. Il museo è allestito in un maestoso Hotel particulier settecentesco, piantato in mezzo ad un affascinante giardino dall’aria sempre brumosa anche sotto un sole splendente, dove meditare contemplando le riproduzioni delle sculture più famose di August Rodin. Per visitarlo non è necessario accedere al Museo: esiste un ingresso a parte e si paga solo un euro.

venerdì 22 febbraio 2008

Les Chinois (ovvero: la strada dell’informatica)

Anche Parigi ha la sua piccola mecca per i fanatici di informatica: Rue Montgallet.
Questa tranquilla strada poco lontano dalla Gare du Lyon, è un susseguirsi ininterrotto di negozietti che vendono ogni genere di aggeggi inerenti il mondo del computer.
Quando si parla di Rue Montgallet, si dice semplicemente “la strada dei Cinesi”, perché la maggior parte dei proprietari sono cinesi.
Quindi, se siete a Parigi e avete un improvviso disperato bisogno di un masterizzatore DVD, di una RAM da 2Gb a 800Mhz o un Hard disk esterno da 160Gb (attenzione: se chiedete un hard disk non capiscono, dovete chiedere un “disque dur”…) potete fare un salto dai cinesi.

Per inserire la visita ai cinesi all’interno di un circuito turistico, potete partire da Place de la Bastille e percorrere tutta la piacevole Promenade Plantée, la passeggiata costruita convertendo al verde un antico viadotto ferroviario. Arrivati in fondo alla passeggiata, nel grande spiazzo verde dei Jardin de Reully, si può scendere nella strada parallela alla Promenade, ovvero Avenue Daumenil, e risalire un poco in direzione della Bastiglia. Rue Montgallet è la prima traversa a destra.
Per tornare alla Bastiglia, risalite tutta Avenue Daumenil e lasciate che gli amici, stravolti dalle ore passate ad analizzare i microchip della vostra nuova scheda madre, osservino gli atelier artigianali, i negozi di design e gli studi di architettura ospitati sotto le arcate dell’ex-viadotto.

A proposito… Se passate da avenue Daumenil entro il 16 Marzo, non perdetevi la piccola ma geniale esposizione al VIA (Valorisation de l’Innovation dans l’Ameublement): “Matièrs à cultiver”. Sono esposti alcuni oggetti, soprattutto mobili e complementi per la casa, creati con bio-materiali a base vegetale. Gli studenti di architettura accorrono estasiati con carta e matita per ricopiare i modelli.

mercoledì 20 febbraio 2008

Guadagnare meno per vivere meglio?

Il primo numero del 2008 del Courrier International (il settimanale che pubblica in francese gli articoli più interessanti dei principali giornali mondiali. L’equivalente di “Internazionale” in Italia) era dedicato alla “decrescita”.
La copertina lanciava, a tutto campo, un titolo provocatorio:
LAVORARE
MENO
PER GUADAGNARE
MENO
E VIVERE MEGLIO

Inaudito! Ma che significa? E le bollette chi le paga?

Il dossier ha avuto talmente successo, che la redazione ha deciso di renderlo interamente disponibile sul sito della rivista:
http://www.courrierinternational.com/evenement/decroissance/vivre-mieux.asp

Nell’introduzione al dossier si legge:

Nicolas Sarkozy non smette di ripetere: “I francesi vogliono lavorare di più per guadagnare di più”. Forse il Presidente sbaglia epoca. Altrove, in Svezia, in Nuova Zelanda, nel regno Unito, sono numerosi coloro che hanno intrapreso un cammino diverso. Riducendo il loro tempo di lavoro, volgendo le spalle all’iperconsumismo, scegliendo la condivisione e l’aiuto reciproco, proteggendo l’ambiente. Li chiamano gli adepti della semplicità volontaria. E il 2008, con o senza recessione, potrebbe vedere le loro idee diffondersi.

Alcuni, spiega il dossier, scelgono la “semplicità volontaria” per motivi ideologici, con l’intento di rifiutare il modello di vita consumistico imposto dal marketing.
Altri la sostengono, piuttosto, come una necessità di fronte all’aumento dell’inquinamento e dei prezzi.
Scopro così di essere adepta inconsapevole di un movimento mondiale (vedi post del 17 gennaio sul mio attuale stile di vita: “Godo dei piccoli piaceri della vita, perché non posso permettermi quelli grandi”).

Forse la “semplicità volontaria” è una moda, come lo sono spesso l’ecologia, il biologico, il macrobiotico, il vegetariano, l’ayurveda, i fiori di Bach, le campane tibetane, ecc ecc.
Ma forse si tratta davvero di un’esigenza inevitabile, un modo per imparare a convivere con un futuro che alcuni dipingono inquietante.
Nel primo articolo, estratto dal The New Zeland Herald, si legge:
Con la crescita dei prezzi degli alimenti, il peso dell’energia nel budget e lo spettro sempre presente del crollo del mercato immobiliare, tutti potrebbero presto doversi sforzare di vivere meglio con meno.

Volete dire che dovrò imparare a rammendare i calzini, invece di andare a comprarmene di nuovi da H&M????

Mi convincono poco gli esempi di mega-manager che hanno rinunciato a stipendi da 100.000 dollari l’anno, per difendere i diritti dei ciclisti o per coltivare verdure.
Si tratta di persone che hanno rinunciato a qualcosa, perché avevano molto a cui rinunciare!

Ho trovato più interessante l’ultimo articolo, di George Monbiot del The Guardian.
Per chi non conoscesse il francese o non trovasse l’originale in inglese, ne do una mia – sicuramente pessima – traduzione in italiano, per la quale spero di non essere citata in giudizio dall’autore:

Se siete sensibili, vi consiglio di girare pagina.
Mi appresto a spezzare uno degli ultimi tabù universali: spero che la recessione predetta da alcuni economisti si avveri.
Riconosco che la recessione è qualcosa di doloroso. Come tutti, sono consapevole che ad alcuni farà perdere il lavoro e la casa.
Non nego queste conseguenze, né le sofferenze che infliggerebbero, ma rispondo che sono il prodotto perfettamente evitabile di un’economia concepita per massimizzare la crescita, e non il benessere. Ciò di cui vorrei far prendere coscienza è ben poco menzionato: al di là di un certo punto, la sofferenza è anche il frutto della crescita economica.
Il cambiamento climatico non provoca solo un declino del benessere: oltrepassato un certo limite, lo fa sparire. In altri termini, minaccia la vita di centinaia di milioni di persone. Qualunque siano i loro sforzi per ridurre le emissioni di gas a effetto serra, i governi si scontrano con la crescita economica. Se il consumo di energia aumenta meno velocemente man mano che un’economia arriva a maturità, alcuni paesi non sono ancora riusciti a ridurla aumentando il proprio prodotto interno lordo.
Nel Regno Unito, le emissioni di biossido di carbonio sono più elevate che nel 1997, soprattutto a causa dei 60 trimestri di crescita consecutivi di cui non cessa di vantarsi il Primo Ministro Gordon Brown. Una recessione nei paesi ricchi rappresenta senza dubbio l’unica speranza di guadagnare tempo al fine di evitare che il cambiamento climatico divenga incontrollabile.
L’enorme miglioramento del benessere degli esseri umani in tutti i campi – alloggi, nutrizione, igiene, medicina – negli ultimi cent’anni è stato reso possibile dalla crescita economica, oltre che dall’educazione, dal consumo, dall’innovazione e dal potere politico che lo ha permesso. Ma fino a dove può arrivare la crescita? In altre parole, in che momento i governi decidono che i costi marginali della crescita superano i benefici marginali? La maggior parte di noi non ha una risposta a questa domanda. La crescita deve proseguire, nella buona e nella cattiva sorte. Mi sembra che, nei paesi ricchi, abbiamo già raggiunto il punto dove bisogna fermarsi per logica.
Al momento, vivo in uno dei luoghi più poveri del Regno Unito. Qui, gli adolescenti spendono molto dal parrucchiere, si vestono all’ultima moda e sono dotati di un telefono cellulare. La maggior parte di loro che hanno l’età per guidare possiedono una macchina, che usano in continuazione e distruggono in qualche settimana. La loro spesa in benzina deve essere astronomica. Sono liberi della terribile povertà di cui soffrivano i loro nonni; ce ne dovremmo rallegrare e non scordarlo mai. Ma, a parte una grande eccezione – l’alloggio, di cui il prezzo è sopravalutato -, chi oserà sostenere che è impossibile soddisfare i bisogni fondamentali di tutti nei paesi ricchi?
I governi adorano la crescita perchè li dispensa dal combattere le ineguaglianze. Come ha fatto notare un giorno Henry Wallich, un ex-governatore della Riserva federale americana [dal 1974 al 1986], difendendo il modello economico attuale, “la crescita è un sostituto all’eguaglianza dei redditi. Finché c’è la crescita, c’è la speranza, e questa rende tollerabili le grandi differenze di reddito.”
La crescita è un sedativo politico che soffoca la contestazione, permette ai governi di evitare scontri coi ricchi, impedisce di costruire un’economia giusta e duratura. La crescita ha permesso la stratificazione sociale che persino il Daily Mail [quotidiano conservatore] oggi deplora.
Esiste qualcosa che si potrebbe ragionevolmente definire indicatore di benessere e che i ricchi non hanno già?
Tre mesi fa, il Financial Times ha pubblicato un articolo sul modo in cui i grandi magazzini si sforzano di soddisfare “il cliente che è veramente arrivato”. Ma il punto implicito è che nessuno è “arrivato”, perchè la destinazione non smette di cambiare. Il problema, spiega un dirigente di Chanel, è che il lusso è “sovrademocratizzato”.
I ricchi devono dunque spendere sempre di più per uscire dal mucchio: negli Stati Uniti, il mercato dei beni e servizi destinato ad aiutarli in questo, pesa quasi 1000 miliardi d’euro all’anno.
Se volete essere certi che non vi si possa confondere con un essere inferiore, ormai potete comprare delle pentole in oro e diamanti da Harrod’s.
Senza alcuna ironia volontaria, l’articolo era accompagnato dalla foto di una bara. Si trattava di una replica di quella di Lord Nelson, fabbricata con il legno proveniente dalla nave dove era morto, che ci si può regalare ad un prezzo esorbitante nella nuova sezione del negozio Selfridges dedicata al superlusso.
Sacrificare la propria salute e la propria felicità per potersi pagare questo orrore testimonia di certo un disagio mentale grave. Non è il tempo di riconoscere che abbiamo toccato la terra promessa e che dovremmo cercare di restarci? Perché dovremmo lasciarla per esplorare un deserto infangato dalla frenesia dei consumi seguiti da un crollo ecologico? Per i governi del mondo ricco, la politica ragionevole da seguire ormai non è quella di mantenere dei tassi di crescita più vicini allo zero possibile? Ma, poiché il discorso politico è controllato da persone che hanno come principale scopo l’accumulazione dei soldi, una tale politica sembra impossibile.
Per quanto spiacevole, è difficile immaginare quello che, a parte una recessione accidentale, potrebbe impedire alla crescita economica di espellerci dal paese di Cana per spedirci nel deserto.